“Sei felice?” Quante volte ci sarà stato chiesto, e quante volte – magari – siamo stati proprio noi a porre questa domanda, ad un amico o a un familiare. Replicando in modo evasivo e a tratti sfuggente, o ricevendo una risposta anch’essa non precisa, ma alquanto vaga e “fumosa”.
Perché è così. È difficile definire la felicità, ed altrettanto difficile, dunque, dire a sé stesso o agli altri se si è felici, se si prova questo stato di gioia, di soddisfazione e di benessere ad essa comunemente associato. In realtà, la felicità è un’emozione sentita da tutti e che fa parte del nostro quotidiano, solo che viene percepita in maniera diversa da ogni individuo. Assumendo, per tal motivo, un’accezione soggettiva, perché connessa alle singole e specifiche caratteristiche personali.
Si è allora felici perché si è innamorati o perché si è raggiunto quel traguardo a cui si teneva da tempo, ma si è felici anche per aver ammirato un tramonto o per aver aiutato una persona in difficoltà. La felicità, allora, è ovunque, nelle grandi come nelle “piccole” cose che sono tali solo in apparenza, racchiudendo in sé un significato profondo e importante: basta solo “predisporsi” e darle spazio.
Qualunque sia il modo in cui ci si “relaziona” con la felicità, una cosa comunque è certa: essa è un diritto sacrosanto nella vita di tutti noi, a cui bisogna tendere. Non è un caso, infatti, che dal 2013 essa abbia un giorno del calendario tutto suo, il 20 Marzo, con l’istituzione della Giornata Internazionale della Felicità. Scopriamone allora di più proseguendo insieme nella lettura.
Giornata Internazionale della Felicità: di cosa si tratta esattamente?
Istituita dall’Assemblea Generale delle Nazione Unite il 28 Giugno 2012, la Giornata Internazionale della Felicità si pone come obiettivo il perseguimento della felicità, non solo ai fini del benessere individuale, ma anche per la promozione di una metodologia più inclusiva, giusta ed equilibrata nella crescita economica. Che deve essere diretta ad uno sviluppo sostenibile ed al superamento della povertà, per il benessere generale, di ogni popolo.
La felicità come diritto fondamentale dell’uomo, dunque, da favorire e sostenere, come pure da preservare ed assicurare, intesa in un’accezione più ampia, che comprende concetti positivi strettamente connessi a detto sentimento. Concetti, questi, espressi e sottolineati dall’ONU mettendo in evidenza l’importanza di una stretta interdipendenza tra la felicità del singolo individuo e quella della società tutta, la quale deve impiegare ogni energia per la realizzazione di un benessere da raggiungere in qualunque ambito.
Una ricorrenza, quella della Giornata Internazionale della Felicità, che si deve al Bhutan, il piccolo stato asiatico situato ai piedi dell’Himalaya, che mette al primo posto il valore della felicità nazionale rispetto al valore reddituale, sostituendo il PNL (Prodotto nazionale lordo) con la FNL (Felicità Nazionale Lorda). L’idea di misurare la felicità e non la ricchezza – non avvalendosi appunto del PIL quale indicatore del buon andamento della propria politica e del benessere della propria popolazione – fu introdotta alla fine degli anni ’70 da Jigme Singye Wangchuck, il quarto re del Bhutan, e codificata nel 2008 quando fu inserita nella Costituzione nazionale.
Alla base di questa decisione vi è il ritenere che il benessere di un Paese non deriva esclusivamente da una buona economia e dalla crescita economica, ma anche da molti altri parametri non agevolmente determinabili, come la salute o lo standard di vita dei cittadini ad esempio. E il risultato finale si ottiene da una serie di “incroci”, tra dati oggettivi e sondaggi nazionali che vedono come “protagonisti” i cittadini stessi, chiamati ad esprimersi sul proprio stato di felicità in base ai parametri adoperati.
Perché il 20 Marzo?
Perché scegliere la data del 20 Marzo per celebrare la Giornata Internazionale della Felicità? Quali i motivi che hanno “spinto” in tale direzione? Presto detto: perché questo giorno coincide con l’equinozio di primavera, che segna la rinascita della natura e simbolicamente il rifiorire della vita.
La proposta venne dall’allora consigliere dell’ONU Jayme Illien, dalla triste infanzia: uno dei tanti orfani che popolavano le strade di Calcutta, fu salvato dalle Missionarie della Carità di Madre Teresa, per poi essere adottato da una donna americana fondatrice di una ONG di Atlanta dedita alle adozioni internazionali.